Un'immagine generica segnaposto con angoli arrotondati in una figura.

Il Fiume Sinni

Bellezza naturale - Corso d'acqua

Il Fiume Sinni


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Descrizione

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Il Fiume Sinni

Il Fiume Sinni ha sempre rappresentato un luogo di grande importanza per la comunità di Fardella, anche se si trovava fuori dal territorio comunale e a una certa distanza dal centro abitato. Storicamente veniva utilizzato dalle donne per attività quotidiane, come il bucato, soprattutto quando era molto consistente, e per lavare la lana. Molte persone raggiungevano il fiume Sinni anche per raccogliere il vimini, usato per fare le ceste per il corredo delle donne.

Approfondimento
 
La lavorazione artigianale del vimini e dei salici
 
La lavorazione delle ceste era un’attività non prettamente femminile, ma in cui l’acqua aveva un ruolo centrale. Si faceva in particolar modo prima dei matrimoni per creare oggetti di corredo come ceste, sportë (usate per portare i panni alla fontana), cofënë (ceste usate sull’asino) o spasë (usate per far asciugare la pasta fatta a mano).
 
La lavorazione dei salici e del vimini è sopravvissuta più a lungo rispetto ad altre tradizioni artigianali ormai del tutto scomparse. Ancora oggi, alcune persone conservano e tramandano la conoscenza di questa antica tecnica.
 
Le ceste più grandi venivano fatte in salici, raccolti dalle piante nei propri terreni o nei terreni di amici che le possedevano. Le ceste più piccole venivano fatte con il vinghiërë (vimini), che veniva raccolto al Fiume Sinni.
 
Il procedimento della lavorazione dei salici è il seguente:
 
Nel mese di luglio/agosto, si raccolgono i salici;

Dopodiché si tolgono le foglioline verdi;

Con un attrezzo fatto con due stecche si toglie la buccia in superficie fino a farli diventare bianchi;

Si dividono i rami in base alla grandezza;

Si mettono a bagno in una cavëdarë piena d’acqua per molti giorni per renderli più morbidi;

Successivamente vengono intrecciati per creare le ceste.

La lavorazione artigianale della lana
 
Nel passato, un’altra lavorazione prettamente femminile in cui l’acqua aveva un ruolo fondamentale, era la lavorazione della lana; un’arte che tutte le fardellesi conoscevano. Si tratta di una lavorazione che si è conservata fino agli anni ‘90. Era una lavorazione che veniva fatta in particolare prima dei matrimoni o quando nascevano i figli per fare materassi e cuscini.
 
La lavorazione della lana richiedeva molti giorni di lavoro e aveva il seguente procedimento:
 
Verso giugno si tosavano le pecore;

Una volta tosate le pecore, si tagliava la punta della lana che era sporca di letame;

Poi con l’acqua corrente si prendeva la lana a ciuffi e si sfungafëdë , ovvero si toglieva il grosso dello sporco. Alcune donne andavano a fare questo passaggio al Fiume Sinni, altre al Fosso della Cannalia, altre ancora alla Fontana di Don Francesco;

Successivamente si metteva la lana a bagno prima in acqua fredda per giorni, cambiando l’acqua molte volte, e poi in acqua calda con il sapone fatto in casa;

Dopo un po’ di tempo in ammollo si strofinava per bene per eliminare altro sporco;

Si faceva asciugare al sole, veniva girata ogni tanto per farla asciugare bene in tutte le sue parti;

Dopodiché si munnavëdë , ovvero si prendeva ogni ciuffo di lana e con le mani si toglievano i rìpulë , eventuali pezzi di sporco o corpi estranei rimasti incastrati. Questa fase avveniva perlopiù la sera vicino al fuoco, le persone si riunivano per aiutarsi a vicenda;

Si passava la lana sul cardė, una sorta di pettine con denti di ferro fino a farla diventare morbida;
A questo punto vi erano due diversi tipi di lavorazione:

sì conservava così per fare i materassi in casa o al Materassificio, oppure per fare l’imbottitura dei cuscini;

con il fuso si otteneva il filo che si conservava in gomitoli, oppure si portava dalla lanarë , una signora che lo faceva per mestiere. Dal gomitolo, infine, si lavorava ai ferri per fare maglie, calze e canottiere.

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